L’antipolitica filobancaria: cui prodest?

La politica sta producendo voci contrastanti in merito al decreto “Salva Italia” sulla spending review: Nicki Vendola l’ha definito “ammazza Italia“, mentre Pier Ferdinando Casini si è detto entusiasta, schierandosi al fianco del premier Mario Monti.

Il problema, a mio avviso, si pone sotto altri aspetti:

1) Fino a che punto questa “managerialità esasperata” può realmente salvare l’Italia, con tutte le sue contraddizioni più o meno evidenti (rinunciare al taglio delle province e nominare due nuovi sottosegretari, mentre con l’altra mano si chiede alle Regioni di tagliare posti agli ospedali e si eliminano sedi giudiziarie estremamente disagiate come quella di Ischia)?

2) Fino a che punto si può continuare a far quadrare i numeri senza tenere in alcun conto le esigenze del territorio, quelle di cui la politica, attraverso i suoi rappresentanti, dovrebbe rendersi garante?

3) Fino a che punto si potrà parlare di ripresa, se la tassazione continua ad aumentare e la contrazione dei consumi prosegue inesorabile, senza che il Governo in carica offra il benché minimo spiraglio di tempi migliori per privati e aziende?

Se la politica -quella vera- è morta da tempo perché i politici nominati (e non eletti) non rappresentano più nessuno, dove ci porterà questa sottospecie di antipolitica filobancaria che il Governo Monti rappresenta alla grande? Onestamente, pur sforzandomi a ragionarci su, non saprei da dove cominciare. Ci proviamo insieme?

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